Ma «Berlino è troppo grande per Berlino» anche in senso più ampio: come convivere e tenere viva la fiamma di un mito così ingombrante come «Berlino, città di tendenza»? Per capirlo è necessario un viaggio alle sue origini, gli anni Novanta, quando il tempo sembrava essersi fermato: cicatrici della guerra ovunque, stufe a carbone, palazzi fatiscenti, minimarket spartani, mai una casa che avesse l’ascensore e un citofono funzionante. Visitarla era un’esperienza allucinogena, un viaggio nel passato e nel futuro allo stesso tempo, quando una gioventù curiosa sembrava aver fatto proprio – ribaltandolo in positivo – il famoso aforisma di inizio Novecento di Karl Scheffler: «Berlino è condannata per sempre a diventare e mai a essere.»
La ricerca della rovina abbandonata, la caccia al cimelio del mercatino, le feste illegali negli scantinati oggi non ci sono più. Quell’epoca di archeologia urbana è finita per sempre: quasi tutti i palazzi sono stati ristrutturati, le case occupate sgomberate e i negozi con il tipico arredamento Ddr hanno chiuso. Senza più ferite del passato il corpo della città è forse meno drammatico ma di certo è più forte, sano. Anche gli abitanti hanno perso qualcosa di quello struggimento, di quella vena romantica e autodistruttiva, e oggi c’è perfino chi viene a Berlino per lavorare e non solo per «creare» o semplicemente oziare. Ma Berlino rimane una città giovane, che non si attacca morbosamente a un passato «povero e sexy» e i cui unici feticci intoccabili sono una multiculturalità che non accetta compromessi e un futuro che è sempre tutto da scrivere. Anzi, per citare uno che la conosce bene, Berlino è e sempre sarà «potenziale puro».
Pagine 192
Fotografie Mattia Vacca
Autori Thibaut de Ruyter, Fabian Federl, Annett Gröschner, Christine Kensche, Alisa Anh Kotmair, Vincenzo Latronico, Juliane Löffler, Cees Nooteboom, Peter Schneider, Daniel Schulz, Alina Schwermer, Jörg Sundermeier
Collaboratori Andrea D’Addio, Ercole Gentile, Falko Hennig, David Wagner
Illustrazioni Francesca Arena